L’intervista a Jym Davis
Il designer di maschere che si cela dietro alla pagina instagram @_false_face
Jym Davis è cresciuto in una piccola città del Virginia e il suo lavoro si concentra sulla creazione di maschere e abiti dal design ruvido e primordiale.
Come molti artisti inizia a scoprire le sue doti creative già da bambino grazie al disegno e questo gli ha permesso di sviluppare la sua immaginazione che, ormai, non ha più limiti.
Ha poi deciso di voler approfondire la sua vena artistica trasportandosi dal disegno grafico alla pittura tradizionale, ai film e video fino appunto al costume che, nel tempo, è divenuto il suo obiettivo principale.
Fotografo amatore, quest’altra forma d’espressione lo aiuta oggi a dare vita alle sue creazioni. Non ha frequentato scuole specifiche ma è autodidatta al cento per cento ed oggi insegna alla Reinhardt University di Waleska, in Georgia.
Lo abbiamo intervistato per sapere tutto sul suo percorso in quanto designer di maschere, la sua pagina Instagram @_false_face (che ha un seguito di 170 mila followers) ma sopratutto per riportarvi tutti i consigli che un artista – e professore – emergente come lui può condividere con aspiranti professionisti.
Quando e cosa ti ha portato alla creazione delle tue prime maschere?
Ho sempre usato le maschere nei miei progetti fotografici. Ad un certo punto, mi sono stancato di usare le maschere di plastica acquistate in negozio: volevo maschere con una qualità più grezza e terrosa e la soluzione più ovvia era creare le mie maschere. Non ho alcun tipo di formazione nella creazione di oggetti tridimensionali ma non mi importava che le prime maschere fossero davvero grezze. Con la pratica, le mie creazioni sono migliorate e ho trovato il modo di farle funzionare.
C’è un messaggio che vuoi trasmettere con le tue creazioni?
I concetti che mi affascinano di più sono il mistero e l’idea di “senza tempo”. Cerco di non spiegare troppo le mie fotografie e le mie maschere, piuttosto preferisco che siano le persone a portare le proprie idee e messaggi all’interno di esse.
Utilizzo un processo di creazione di maschere che sarebbe potuto esistere migliaia di anni fa e mi piace l’idea che il mio lavoro sia una sbirciatina in un mondo che potrebbe essere molto vecchio ma anche qualcosa del futuro. È per questo che cerco di eliminare qualsiasi cosa moderna nei miei outfit e non fotografo mai i modelli in ambienti contemporanei riconoscibili.
Con il nostro magazine vogliamo creare una sorta di manuale per emergere, cercando sempre di ottenere consigli utili da artisti come te per tutti i giovani che vogliono raggiungere gli stessi obiettivi. Quali sono i suggerimenti che puoi dare a chi sfortunatamente non può assistere alle tue lezioni?
È molto facile per gli artisti cadere nella trappola di creare opere d’arte per altre persone: questo può significare letteralmente creare contenuti per i progetti di altre persone, o semplicemente conformarsi alle aspettative di qualcun altro. Per molti anni ho lavorato nei video musicali e, anche se mi piaceva, c’era sempre la sensazione di essere la persona anonima dietro le quinte. Stavo lavorando duramente per la visione di qualcun altro.
Penso che sia importante per un artista essere autonomo nel proprio mondo creativo, anche se questo può significare molte fermate e ripartenze, alcuni fallimenti e un po’ di confusione personale. Una volta che si è fuori dal ruolo di studente può essere molto spaventoso, ma devi trovare la tua direzione e cercare la tua voce unica. Quando troverai il tuo punto di vista, ti sembrerà giusto e, molto probabilmente, un pubblico risponderà a quell’autenticità.
Qual’è la più grande soddisfazione che hai trovato o ottenuto in questo percorso?
Per me l’arte è una forma di terapia: penso che sia importante per le persone connettersi con i materiali e lavorare con le proprie mani. Spendere troppe ore davanti ad uno schermo non è gratificante.
Trovo estrema soddisfazione nel costruire oggetti fisici che tutti possono tenere tra le mani ed indossare.
C’è qualche altra persona che ti affianca nei tuoi progetti?
La mia famiglia e i miei amici fanno sono spesso i modelli delle mie fotografie. Molte volte lavoro solo, il mio processo creativo è piuttosto isolato.
Come organizzi i tuoi servizi fotografici?
Molto spesso scatto fotografie da solo, sopratutto quando mi trovo in luoghi molto remoti e desolati. Come quest’estate durante una residenza d’artista nel deserto del Nevada: individuavo paesaggi mirati poi usavo un treppiedi e un pulsante, così da poter fare sia da modello che da fotografo.
È un processo lungo perché avvengono tanti errori… è difficile guardare il mondo con una maschera, la luce è diversa e imprevedibile. Sono molto pignolo sull’orario degli scatti, o al mattino prestissimo o nelle magiche ore della sera. Ho imparato dai migliori fotografi che la luce leggera è perfetta. Questa è la tecnica che insegno ai miei corsi universitari, che si tengono rigorosamente alle 18:00 per lo stesso motivo: la luce è molto meno dura.
Parlaci della tua pagina Instagram @_false_face ( https://www.instagram.com/_false_face/ ).
Sono felice che altre persone abbiano trovato coinvolgente la mia pagina ed ora è come se avessimo creato una piccola comunità. Ricevo tanti messaggi che sono difficili da gestire ma provo a rispondere cortesemente a tutti.
Ho iniziato False Face nel 2016 ed era un metodo semplice per tenere traccia del lavoro che mi ha influenzato. Per molti anni ha avuto pochissimi follower ma era soprattutto una pagina utile a me per tenere un database di ciò che mi ispirava. Ho un punto di vista molto specifico e mirato a riguardo e questo è quello che voglio trasmettere: look senza tempo, non troppo perfetti e un po’ grezzi ma con una vera attenzione al mestiere fotografico.
Per quanto riguarda i social: quante energie dedichi a essi?
Cerco di mantenere il lavoro che posto sui social molto spontaneo, non programmo niente. Sono molto attento a ciò che pubblico ma non ci penso troppo e se qualcosa mi coinvolge all’istante lo condividerò immediatamente. Ho cercato per anni artigiani di maschere, designer di costumi, storici di materiali e ora ho un vasto archivio da dove poter attingere.
Infine, abbiamo letto in una tua precedente intervista che sei soddisfatto dei tempi in cui viviamo grazie alle possibilità a cui i giovani artisti emergenti possono accedere. Cosa pensi stia cambiando attualmente nel mondo e perché pensi che stia accadendo?
Penso che i social media abbiano aggiunto un elemento democratico nel connettere le opere d’arte a un pubblico. Un bambino che crea un lavoro fantastico in un area remota della Russia può ora trovare un’attenzione globale.
Mi piace vedere come i giovani artisti colmi di talento unico riescano a trovare i loro spettatori.
– Jym Davis