La cinepresa rompe le regole della società e diventa voce della ricerca interiore

Chi, nel corso della propria vita, non si è mai trovato a fronteggiare la sensazione di incessante avanzamento senza uno scopo dichiarato? Chi può dirsi esente dalla totale immersione nel mondo “dell’adultità” che porta, come diretta conseguenza, alla rilevanza della performatività, più che della felicità e soddisfazione personale?

Queste domande, nel tentativo di dipingere l’arte e la personalità di Sonya Akulshina, non sono centrali solo a livello contenutistico, ma anche formale. Sono proprio le domande giuste, infatti, a salvare la vita artistica di Sonya e a concedere a noi il privilegio di conoscere la messa in atto del suo talento. 

Sonya Akulshina, foto di Sofia Kulianu.

Giovane video artist e regista emergente, Sonya ha origini russe ma vive in Finlandia da sette anni. Fin da piccola, ha sviluppato un forte senso di competitività che le è stato trasmesso dallo sport. Come per ogni artista che si rispetti, la sua passione trabocca spontaneamente e senza troppo preavviso. Infatti, in balia della sua giovane vita fanciullesca, Sonya si ritrova a documentare con la sua cinepresa ogni trasferta sportiva, a girare videoclip musicali con le sue amichette e a montare i frammenti insieme, quasi come a voler creare un mondo parallelo in cui dimorare.

Quando però, dopo anni, il gioco si fa più duro e le viene richiesto di scegliere attivamente cosa fare del proprio futuro, Sonya si spaventa alla sola idea di scegliere la strada dell’arte. Decide semplicemente di fare quello che il mondo le ha sempre raccomandato: intraprendere la strada più sicura per poter essere massimamente performativa. Ecco che la competitività appresa da piccola riemerge fino a sovrastarla e a farla spiccare nel mondo del business sul quale ha deciso di incentrare i propri studi in una scuola estera. Si ritrova ben presto ad essere studentessa e contemporaneamente lavoratrice: organizza feste e gestisce le pagine social di alcuni ristoranti.

Era ancora del tutto inconsapevole di non avere totale controllo sul proprio futuro. La passione primordiale che l’ha sempre caratterizzata e che, come spesso accade, nel corso della vita ha cercato di silenziare astutamente, non aspettava che un momento di debolezza, forse di stanchezza e insoddisfazione, per tornare a bussare alla porta e salvarla. Presa alla sprovvista, si licenzia, abbandona tutti i progetti che stava portando avanti e trova lavoro in un supermercato. Nell’ordinarietà e meccanicità della mansione che si ritrova a svolgere, finalmente la sua mente trova spazio per esplodere e metterla davanti alla propria voce interiore. Da quel momento in poi, inizia il suo cammino alla ricerca di sé stessa. 

Come primo passo, compra una cinepresa e si iscrive ad un corso. Scopre non solo di non amare che le venga detto come la sua arte dovrebbe essere espressa, ma di detestare fermamente le regole.

Con un coraggio inenarrabile, la Sonya che le regole se le è sempre autoimposte per raggiungere le aspettative esteriori, passa a distruggere ogni parvenza di dettame nella sua vita. Questo non le basta. Blocca sui social tutte le sue conoscenze per non cadere nella trappola che il timore del giudizio gioca su ognuno di noi e comincia a postare secondo la sua idea di arte. 

Inizia, così, a vivere in un incantevole paradosso per cui l’unico modo per prendere contatto con la realtà è fuggirla e crearne una nuova, a propria immagine e somiglianza. Le basta la cinepresa per generare il mondo nel quale sente di voler vivere e che spesso non assomiglia a quello in cui si trova realmente. Sonya non ha paura – non più – di ammettere che la sua realtà, quella vera, non è così mite e colorata, ma la sua ostinazione nel credere che la gentilezza possa ancora trionfare la spinge a creare quello che desidererebbe

È proprio gentilezza la parola che meglio descrive i frammenti di mondo che ci permette di vedere tramite i suoi occhi.

La sensazione, guardando i suoi video, è quella di essere catapultati in un’estate italiana degli anni ’60, dove, nello scorrere di una vita lenta e pacata, ‘Sapore di sale’ di Gino Paoli riecheggia nella mente e agisce come colonna sonora di un film armonico immaginariamente girato da ogni italiano e che ha come protagonista il mondo che lo circonda. È con estremo piacere che, guardando i suoi prodotti artistici, si rimane intrappolati quasi come attratti da una calamita, in quella visione bucolica e profonda.

Sonya, però, non si limita a farci sognare ad occhi aperti, ha ben di più da dire, ed ecco che entra in scena l’importanza formale delle domande. Sotto a riprese prevalentemente statiche, che lasciano che sia il mondo a muoversi, decide di apporre delle domande che riportano l’osservatore a contatto con la realtà. Sono quesiti estremamente eterogenei, dai più semplici e materiali (“Is it smart to pay this much for rent?”, letteralmente “ci sta pagare così tanto per l’affitto?”) fino a domande più profonde ed esistenziali come “How much of my life am I really present?”, ovvero “Quanto sono veramente presente nella mia vita?”.

Non entrare in una dimensione intima e introspettiva, a questo punto, risulterebbe un vero peccato, quasi uno spreco.

Tramite questo stile puro, audace e sentimentale, Sonya accompagna per mano chiunque si fermi davanti alla sua arte in dimensioni che molto spesso tendiamo a dimenticare, a silenziare e a ignorare per dare adito alla frenesia della vita, alle convenzioni sociali.

Lei, che ha pagato sulla sua pelle le conseguenze del non essersi ascoltata a fondo, cerca con tutte le sue forze di salvarci dallo stesso errore. 

Il suo mondo ha davvero qualcosa da comunicarci, ora sta all’osservatore decidere se porsi in ascolto, chiudere gli occhi e canticchiare Gino Paoli o se proseguire il proprio cammino frettolosamente continuando a mettere in sordina ogni dubbio che tenta con tutte le sue forze di emergere. 

‘Questions of my 20s’, di Sonya Akulshina.