La nostra intervista a Teresa Del Sole: la storia di una metamorfosi professionale e personale
Spogliarsi del proprio passato e dei preconcetti per abbracciare l’arte visiva
Parlando con Teresa Del Sole è evidente che non sia il tipo di persona che si lascia confinare dalle etichette convenzionali. Nata a L’Aquila, il suo percorso formativo è ricco e interessante: laureatasi in filosofia mentre lavorava come modella per riuscire a mantenersi, si dedica poi agli studi a livello magistrale di filosofia antica, che l’hanno sicuramente aiutata ad affinare la sua visione del mondo e la sua capacità di ragionare profondamente sui concetti, oltre che sulle sovrastrutture create dalla società. Prosegue attualmente un dottorato in filosofia analitica all’università di Amsterdam e si occupa di pornografia femminista. Con una mente acuta e uno sguardo critico, Teresa si distingue come un’artista che sfida gli schemi preconfezionati, e la sua estetica è un riflesso dei suoi pensieri, delle sue sfide e delle sue aspirazioni.
Dopo un drastico cambio di rotta decide di lavorare con le sue fotografie di nudo artistico, e la sua presenza su piattaforme come OnlyFans è ora una dichiarazione di libertà, un invito a esplorare la sessualità umana senza vergogne né pregiudizi. E nonostante le critiche o le polemiche che talvolta la toccano, Teresa non si scoraggia e si schiera contro l’ipocrisia o i costrutti sociali.
Prima di immergerci nelle sue parole, Teresa consiglia di ascoltare ‘Tonada De Luna Llena’ di Caetano Veloso: appassionata di musica oltre che di fotografia, per lei questa canzone rappresenta una sinfonia di tempi e sensazioni, una colonna sonora perfetta per accompagnare la nostra intervista.
Partiamo dagli inizi: potresti riassumerci la tua infanzia e la tua formazione?
L’ultima volta che ho parlato della mia infanzia è stato scritto un articolo che ha assunto la forma “era una bambina carina che poi quando è cresciuta ha iniziato a vendere fotografie nuda su internet” e l’ho trovato abbastanza squallido. Quello che vi posso dire è che mi sono laureata alla magistrale in filosofia e mentre studiavo mi mantenevo economicamente lavorando come modella. Nonostante i guadagni molto elevati però, non riuscivo a farmi piacere quel lavoro che mi vincolava mentalmente e fisicamente ad un contratto che ho dovuto firmare proprio per iniziare quella professione e potermi mantenere. Sono sempre stata un’appassionata di fotografia, ma nel momento in cui stare davanti all’obiettivo è diventato il mio lavoro non potevo più scegliere con chi lavorare. In sostanza, avevo capito che l’unico modo per evitare di farmi fotografare per scopi strettamente commerciali era quello di posare nuda.
Che ricordi hai del tuo periodo da modella?
Mi ero trasferita a Milano, dove però mi sono sentita ancora più costretta in quanto percepivo l’importanza di rispettare un certo canone estetico, adatto ad ogni possibile circostanza che poteva presentarsi durante la giornata. Potevo sempre incontrare qualcuno che avrebbe potuto cambiarmi la vita, pertanto il mio corpo non era un prodotto circostanziato soltanto all’ambito lavorativo, in quanto quest’ultimo si era fuso con quello personale. Mi sentivo in dovere di indossare un abbigliamento coerente con la mia professione, o magari di truccarmi per andare a fare la spesa e per uscire con gli amici. E a questo punto ho avvertito una claustrofobia così forte che ho deciso io stessa di far cadere il quadro.
E in seguito come hai vissuto questa tua scelta di passare dalle immagini commerciali alle foto di nudo?
Inizialmente non è stata una decisione che ha necessitato di giustificazioni particolari: non mi ero proprio posta il problema di poter essere percepita diversamente soltanto perché nuda in una foto. Ho quindi scattato con un fotografo bravissimo delle immagini estremamente pittoriche e, infantilmente orgogliosa del risultato, ne ho postata una sul mio account Instagram. Da subito ho iniziato a ricevere messaggi preoccupatissimi di amici, conoscenti e familiari che non capivano cosa stesse andando male nella mia vita per costringermi ad elemosinare attenzioni in un modo così squallido. Io non capivo, e ho continuato a non prendere troppo sul serio la cosa, finché mi sono arrivati due messaggi da parte dei miei genitori. A quel punto ho compreso che l’esposizione del mio corpo nudo, per quanto non avesse uno scopo commerciale, poteva avere sicuramente uno scopo politico. Non intendo politico in senso stretto, ma nell’accezione estesa correlata al “governare”. Mi ero inconsciamente tirata fuori da alcune dinamiche che governavano il mio corpo: ero uscita dalla definizione di “bella e brava”, perché una brava ragazza non si svenderebbe mai online. Ho capito che lo stesso termine “svendere” implicava una concezione del mio corpo in quanto prodotto – anche fuori dal contesto lavorativo della moda – che doveva essere appunto concesso al giusto prezzo, e non su una piattaforma digitale dove chiunque poteva vederlo previo pagamento.
Poi cosa è successo?
Mi sono decisa a mandare affanculo la mia agenzia, mi sono trasferita in un’altra città e i miei vecchi legami sentimentali sono stati dissolti. Non avendo più un lavoro, e non volendo trovarne uno coerente con il mio percorso di studi filosofici, ho dovuto pensare ad un modo alternativo per sopravvivere e ho quindi deciso di monetizzare sul grande numero di fotografie di nudo che avevo accumulato negli anni. Ho aperto una pagina OnlyFans con lo pseudonimo di Sylvia Teresa Bataille, inserendovi il mio vero nome perché, contrariamente a come si possa credere comunemente, non trovo il mio lavoro degradante o vergognoso. Ciò che condivido su quella piattaforma è molto coerente con la mia estetica e il mio pensiero, pertanto non vedo la necessità di nasconderne la paternità.
Dato che sei un’appassionata di fotografia, che tipo di fotografie preferisci pubblicare e qual è l’estetica di cui parli?
Vi condivido principalmente fotografie erotiche analogiche: alcune sono scattate con una pellicola peel off non più in produzione, altre sono polaroid di vari formati come il nuovo formato grande come un A4 o le più comuni 35mm. Ogni tanto includo delle fotografie digitali, e molto raramente pubblico delle fotografie amatoriali scattate con il telefono. Ecco, la cosa che mi stupisce è come queste ultime ricevano più feedback di fotografie per cui soltanto la pellicola ha un costo di venti euro a fotogramma, per non parlare dell’impegno e dello studio di composizione che c’è dietro. D’altronde, dopo una trentina di crediti universitari in Estetica penso di poter banalmente riassumere quello che ho imparato con: “è bello ciò che piace”.
Come hai affrontato le critiche riguardo alla tua scelta di condividere le tue fotografie su una piattaforma come OnlyFans?
Ai tempi di Duchamp il contesto conferiva valore all’opera: un orinatoio in determinate circostanze poteva essere percepito da alcune persone come un’opera d’arte, finché poi non è stato visto per quello che era da un altro tipo di persone ed è stato probabilmente buttato nella spazzatura. Oggi, invece, molti giudicano senza guardare in profondità, spendono giudizi malvagi senza pensarci troppo su. Nel mio caso ho ricevuto molte critiche negative a causa della piattaforma di condivisione che avevo scelto per le mie fotografie: l’argomentazione più comune era proprio che i miei contenuti in un museo avrebbero suscitato una reazione diversa, in quanto è il contesto che crea il pubblico. Sono stanca di dovermi continuamente giustificare perché le persone non hanno la forza mentale di guardare effettivamente i miei contenuti per quello che sono, senza categorizzarli come osceni o disgustosi, o non adatti ad una ragazza perbene. Probabilmente è vero, io non sono una ragazza perbene: non trovo degradante pensare che delle persone a me lontane o vicine usino le mie fotografie per farsi la sega della sera, e non trovo degradante pensare di vendere quelle fotografie per pagarmi l’affitto. Ma è proprio la monetizzazione a rendere queste cose abominevoli per le persone, infatti molti commenti negativi si concentrano proprio sul fatto che ricavi denaro da questa mia attività. Eppure le mie fotografie sono esposte su una piattaforma di contenuti fruibili grazie ad un abbonamento, e in realtà OnlyFans non è neanche un sito per adulti: ci sono anche account che trattano di giardinaggio, cucina, o qualunque tematica possa interessare.
Spesso affermi che la maggior parte dei commenti negativi che ricevi sono scritti da donne. Che pensiero ti sei fatta in merito?
È vero, questa è sempre stata una delle cose che mi ha colpito di più. Il motivo preciso penso non lo saprò mai e forse è meglio così, però nel tempo mi sono fatta un’idea: è come se avessi percepito da parte di chi mi critica una sorta di paura inconscia rispetto alla mia libertà, come se potessi creare loro problemi. Questa paura si inscrive in una polarizzazione semicosciente delle donne in due opposti, a seconda della loro libertà sessuale in cui quella disinibita di un estremo può avere effetti destabilizzanti per l’altra estremità, più statica. Effettivamente, sono decine di anni che il dibattito femminista si chiede se la fruizione di pornografia possa o meno penalizzare le donne, ma il problema è che io non faccio porno. Quindi non soltanto vengo attaccata in quanto troia, ma anche in quanto troia che si vuole rivalutare pubblicamente come un’artista.
Dunque da artista, cosa cerchi di trasmettere con le tue fotografie?
Un’idea più positiva della sessualità, per cui non dobbiamo nasconderci. Viviamo all’interno di un mondo in cui un terzo delle ricerche su internet riguardano contenuti pornografici, perciò, quando la smetteremo di essere così ipocriti davanti a un’immagine di nudo?