Hajime Kinoko e l’arte di legare le persone
Lo shibari dell’artista giapponese travalica la sessualità tipica del bondage occidentale parlandoci di bellezza, erotismo e connessione spirituale
Da un fitto labirinto filiforme, da una giungla di intricate corde rosse e nere che risucchiano la vista e scombinano lo spazio, una figura umana inizia ad intravedersi mano a mano che lo spettatore avanza nell’esuberante vegetazione di juta. Il corpo immobile della modella si staglia, avvinghiato ai lacci, e la compressione delle sue forme genera una pulsione remota. Sembra non potersi muovere eppure, quando lo sguardo la raggiunge del tutto, pare invece librarsi in aria – imponente e leggera nello stesso istante – e le corde che la affusolano diventano estensione della sua maestosità. In connessione con l’ambiente circostante, è una pianta carnivora dotata di una bellezza pericolosa.
Quella appena descritta è una delle innumerevoli installazioni – e performance – che l’artista della corda giapponese Hajime Kinoko continua a presentare in giro per il mondo da più di dieci anni e che fanno dell’antica arte del bondage nipponico un mezzo prescelto per amplificare la potenziale bellezza intrinseca nelle cose, negli spazi e nelle persone.
Se shibari è il termine giapponese che sta per “legare” e che ha radice etimologica proveniente dal cinese – indica cioè l’azione in generale e può assumere significati ordinari e quotidiani, come “legare un mazzo di fiori” – il lessema kinbaku significa precisamente “legare una persona in modo talmente stretto da non permetterle movimento”. Molti artisti della corda giapponesi non fanno però differenza tra le due terminologie e, come lo stesso Kinoko, usano entrambe in modo quasi interscambiabile: è indubbio che il bondage giapponese prenda le mosse dall’antica arte marziale hojojutsu, pratica che i generali dell’esercito nipponico utilizzavano a partire dal XV secolo per legare i prigionieri al fine di immobilizzarli e umiliarli, ereditandone così la tecnica ma ribaltandone il significato.
Kinoko si appresta allo shibari ventidue anni fa iniziando a coltivare la pratica mentre lavorava in un fetish bar di Tokyo. Qui si rende conto dell’importanza che l’interconnessione tra soggetto legante e soggetto legato ha nel processo dell’arte kinbaku e il ruolo fondamentale che la fiducia tra le due parti assume nei confronti del risultato, capendo come l’arte della corda possa essere il metodo espressivo più adatto per permettere all’artista di sprigionare la bellezza nascosta nei soggetti.
Concepisce così la possibilità di esprimere in modo più ampio e rivoluzionario la propria arte.
Per questo motivo l’artista giapponese non avvolge in corde ben strette solo ed esclusivamente soggetti umani ma anche piante, rocce, edifici e motociclette: qualsiasi cosa può subire un processo di rinascita ed è come se, avvinghiandoli, Kinoko regalasse ai suoi soggetti una nuova vita.
Osservando le installazioni dell’artista si possono ammirare interi spazi e padiglioni completamente sommersi da migliaia di metri di corde che creano i più svariati effetti visivi – da un tunnel infinito alla sagoma di un gigantesco corpo umano, fino alla ragnatela che avvolge l’esterno di un edificio- e alle quali si trovano legate diverse donne che paiono fluttuare nello spazio indissolubilmente.
Kinoko si presta anche a numerosi workshops oltre alle esibizioni a cui prende parte in giro per il mondo, dove pratica lo shibari in presa diretta su singole modelle, modelli o oggetti ed è solito immortalare con fotografie il risultato finale.
È lui stesso a sottolineare come la sua arte rimanga fuori dalla mera dialettica servo e padrone oppure dalla ricreazione di un rapporto preda e predatore: il soggetto legato è anzi in una posizione privilegiata rispetto all’artista, che ha il solo compito di effonderne la bellezza inespressa.
La componente estetica è sì fondamentale – Kinoko dichiara di scegliere modelle che rappresentano un determinato canone di bellezza – ma non è l’unica, così come il puro erotismo è solo uno dei temi che questa pratica artistica riesce a suscitare nella coscienza dello spettatore. In questo aspetto particolare il bondage giapponese si diversifica dalla sua variante occidentale, più legata alla grafica e alle forme che il corpo assume avvinghiato alle corde: nell’arte di Kinoko il contesto e l’ambiente esterno caricano la performance di significati decisivi e per l’artista legare una modella in uno spazio buio e freddo rappresenta drasticamente la simbologia del suo shibari. Ciò che Hajime Kinoko intende trasmettere è l’idea di un processo di interconnessione continua tra artista, soggetto e ambiente, che ha come risultato l’innalzamento della bellezza nascosta nei corpi. A noi spettatori invece rimane solo il compito di intravedere, cogliere e interpretare questa bellezza, tra le centinaia di corde tese magistralmente.