Filippo Orso, e la sua storia
Una storia che racconta il coraggio, la costanza, la passione e la fatica, ma anche i riconoscimenti e le sconfitte.
Ecco quello che è emerso sulla vita di Filippo Orso durante la nostra intervista.
Nato e cresciuto in un piccolo paese ligure, Filippo è uno sportivo dal profondo dell’anima: dapprima promessa del calcio e ora surfista con vent’anni di esperienza, allena con passione una squadra di ragazzi, determinato a portarli in alto e a trasmettergli tutto ciò che ha imparato e che ancora sta imparando.
Condividendo con noi aneddoti della sua infanzia e esperienze lavorative, ci trasporta in quello che è il suo mondo, dove troviamo principalmente passione, dedizione e affetto, non solo per questo sport che sta acquisendo sempre più popolarità, ma anche per i giovani ragazzi che allena.
Ciao Filippo! Come e quando hai iniziato il tuo percorso nel mondo del surf? Credi sia importante iniziare fin da piccoli per raggiungere traguardi ambiziosi?
Ciao! Esordisce sorridente Filippo, poi continua,
per raggiungere traguardi ambiziosi è molto importante iniziare sin da piccoli, vale per qualsiasi attività sportiva: iniziando da bambino interiorizzi meccanismi e registri dei movimenti che più tardi faresti fatica ad apprendere. Io ho iniziato che ero molto piccolo, sono ormai venti o forse ventidue anni che pratico questo sport.
La culla della mia passione è stata la spiaggia di Pietra Ligure, in Liguria, dove la cultura surfista presenziava già da quasi trent’anni.
Mi sono avvicinato a questo sport grazie ad alcuni amici di famiglia, iniziando con il bodyboard, la tavoletta corta, vale a dire cavalcare le onde da sdraiato. Una volta più grande, intorno ai dodici anni, ho iniziato ad alzarmi in piedi…mi è venuto naturale. Da lì mollai il calcio, una mia grande passione.
All’epoca, tuttavia, nel resto dell’Italia non era uno sport diffuso, soprattutto tra i bambini, ma attualmente sta prendendo piede e, alle gare nazionali, vedo molti bambini nelle categorie otto-dodici anni. Sono infatti anche più diffuse le scuole e gli allenatori che trasmettono la passione per questo meraviglioso sport, il quale ti permette di creare un legame unico con la natura.
Come hanno reagito le persone a te vicine quando hai deciso che avresti fatto il surfista? Ti hanno sostenuto fin da subito?
Ricordo che un giorno dissi a mia madre <<mamma basta, non voglio più andare a calcio>>. Glielo dissi dopo essermi messo indosso una muta da surf al posto della solita tenuta da calcio: <<guardami: io sto andando a surfare anche se è inverno>> le dissi. Lei mi rispose come in un film, ma successe davvero <<fai quello che vuoi, basta che tu sia felice e soprattutto che tu faccia qualcosa>>. Tutto questo accadde quando avevo 11/12 anni: erano le mie prime scivolate sulle onde e presto avrei giocato la prima gara, nel 2000.
Il calcio è lo sport della comfort zone per la tipica famiglia italiana. É uno sport che ti dà sicurezze, sai dove si trova tuo figlio, mentre mandarlo in acqua in mezzo alle onde non dà la stessa sicurezza. Nonostante ciò i miei genitori si son sempre fidati, mi hanno sempre dato molta fiducia e soprattutto mi hanno sempre detto “fai quello che ti rende felice”. Ero un ragazzo di cui ci si potevano fidare e i mei genitori ne erano consapevoli.
Mi ricordo che dopo un allenamento di calcio non volevo tornarci ed ero totalmente preso dal surf. I miei mi dessero <<non puoi solo surfare, quindi fai qualcosa che ti faccia acquisire più “acquaticità” e che ti dia un po’ di costanza>> . Mi portarono a provare pallanuoto. Tuttavia l’atmosfera non era lontanamente paragonabile a quella del surf, mi mancava il contatto con la natura. La prova è durata due giorni, forse uno, forse neanche… desideravo solo surfare.
Nel tentativo di compensare andavo in skate, anche senza strutture facendo un po’ di street. Ma in realtà, ero sempre lì ad aspettare le onde. È stata sempre quella la mia priorità.
in realtà, ero sempre lì ad aspettare le onde. È stata sempre quella la mia priorità
Hai partecipato, arrivando fino alla semifinale, al talent Italian Pro Surfer che purtroppo è durato solo un anno. L’avresti consigliata come esperienza? Pensi sia un peccato non sia stata portata avanti?
Sì, ho partecipato al talent “Italian Pro Surfer” che risale ormai al 2016 o 2017, o forse 2018… sembra passato davvero tanto tempo. É stata una bella esperienza, ho imparato tanto. Il mondo della televisione è complicato, completamente diverso da quello del surf, infatti far diventare il mondo del surf un’industria mainstream non è così facile e ciò lo rende ancora più affascinante. Mi è sempre piaciuto mettermi in gioco, non mi hanno spaventato nemmeno gli insulti dei professionisti del settore.
Nonostante sia nato come un gioco, si trattava di lavoro: avevamo orari e regole da rispettare, come in ogni talent. Durante il talent si era creata un’atmosfera serena nonostante fosse una sfida e adesso sono consapevole del lavoro che sta dietro ad un qualsiasi reality.
Ne approfitto per salutare e ringraziare tutti coloro che mi hanno accompagnato in questa bellissima esperienza.
Mi dispiace non abbiano proseguito con questo format, forse aveva bisogno di essere rivisto o magari era semplicemente troppo presto per un programma del genere.
Ritengo che attualmente il surf sia molto più conosciuto e forse il programma avrebbe molto più seguito. Attenzione: non intendo dire che non abbia avuto successo, anzi il programma era molto seguito anche se trasmesso in seconda serata, i giovani ne erano entusiasti. Tuttavia è necessario riconoscere che la televisione non appartiene più ai giovani. Noi adesso guardiamo YouTube, Netflix e altre piattaforme online. Sono cambiati i tempi, perciò anche se dovessero riproporre questo format io porrei molta attenzione su quale piattaforma posizionarlo. Penso che twitch potrebbe essere adeguata: hai la possibilità di fare dirette che potrebbero essere seguite da milioni e milioni di persone.
Sembra che vivi con questa filosofia del mettersi in gioco, pur sempre prendendoti seriamente ma rimanendo costantemente pronto a giocare. È così?
Certo è così.
Ma è molto semplice: chi fa sport sin da piccolo e soprattutto agonistico, questo animo ce l’ha dentro, impari a conviverci. Non è facile essere un’agonista perché ci son momenti di up e momenti di down profondo, ma io non ho mai versato una lacrima per una sfida persa.
Dopo una sconfitta mi dicevo <<sto facendo quello che mi piace e sono in un bel posto. Chi me lo fa fare di arrabbiarmi, deludermi?>>.
Me la son vissuta meglio rispetto ad altri: quando tornavo da una gara, vittorioso o perdente, la carica adrenalinica ed emotiva che sentivo in quel momento era piena, bellissima.
Forse se fossi stato un po’ più agguerrito in gara e severo con me stesso sarei arrivato più in alto, su quello ci metto la mano sul fuoco. Però sono cose che non possiamo sapere e magari ora non sarei così sereno.
Nella tua carriera hai partecipato a varie competizioni: hai vinto il campionato Italiano a Gaeta nel 2004, partecipato con la nazionale italiana ai Mondiali di surf in California ad Huntington beach e svolto diverse gare tra Francia e Spagna.
Mi rispolveri ricordi di oramai 15 anni fa. È passato tanto tempo dal mio campionato, da le esperienze di gara che ho fatto, anche un po’ inconsciamente.
Adesso alleno dei ragazzi: una squadra Pro Team del Cinghiale Marino di Marina di Andora. Li porto io alle gare, sono il loro coach : ci prepariamo per le competizioni e per loro c’è sempre una persona che conosce le gare e gliele spiega, che sta lì con loro facendogli provare il campo il giorno prima, assistendoli. Ai miei tempi non ho avuto tutto ciò. Partivamo all’ultimo minuto per la Sardegna senza neanche sapere dove andavamo veramente o come ci saremmo dovuti arrivare.
In che senso? Intendi che non sapevi fino all’ultimo se avresti potuto partecipare alla gara?
Si, non era come adesso… stiamo parlando di 15 anni fa. Adesso vedo che i ragazzi sanno prima di me se la gara c’è, ti arriva una notifica su Instagram o per mail, e anche le previsioni prima erano meno attendibili.
Insomma, c’erano i rovesci della medaglia: avrei potuto fare mille esperienze in più però organizzarsi non era facile. Mi è capitato di far delle gare in Francia, in Spagna, però non avevo mai un obiettivo preciso come lo posso dare ai miei ragazzi adesso.
Adesso si pensa alla categoria che è salita, al margine che si ha per arrivare ancora più in alto dell’anno prima e così via. Sapete, si fanno dei calcoli.
Invece ai miei tempi si andava proprio allo sbaraglio. Quello che ho vinto e le soddisfazioni che mi son portato a casa non so se siano state per merito della fortuna o del talento, però so che per quanto sono state importanti me le ricorderò per tutta la vita.
Dal 4 Agosto 2016 sono stati inseriti surf e skate tra gli sport olimpici, perciò dal 2020 (COVID permettendo), un surfista può ambire a partecipare anche alle Olimpiadi. È una competizione a cui ti piacerebbe partecipare? O magari uno dei tuoi allievi?
Ritengo che partecipare alle olimpiadi sia il sogno di un qualsiasi sportivo, è un traguardo importante che ti permette di rappresentare il tuo paese.
Adesso c’è questa opportunità a cui io purtroppo non posso più ambire perché sono un po’ fuori età, ma lavorerò per poter portare i miei ragazzi il più in alto possibile.
Ovvio che non è un gioco da ragazzi, anche perché adesso i posti sono molto ristretti: sono solamente 20 surfisti per tutto il mondo quindi c’è veramente da sgomitare.
Tu quanto tempo dedichi all’uso dei social? Ti ci dedichi in prima persona? E quanto pensi abbiano influito sulla tua carriera?
Al giorno d’oggi è fondamentale avere una presenza sui social, penso ce l’abbia anche la panetteria di Pippo sotto casa di vostra nonna!
Io ci dedico una buona quantità di tempo per primo, fa parte del mio lavoro e qualsiasi cosa faccia nel lavoro è fondamentale: dal coaching ai surf camp, come i brand con i quali collaboro (per esempio Bear per il quale seguo la ricerca e lo sviluppo) e infine, ovviamente, la comunicazione.
Se devi utilizzare i social per lavoro è necessario prestare molta attenzione a ciò che si pubblica, tutto deve essere curato nei minimi dettagli. È un lavoro: per calcolare tutto e preparare il post ci si mette almeno un’ora e mezza, perciò non nascondo che di tempo sui social ne passo, nonostante cerchi di starci il meno possibile.
Quali progetti hai per il futuro? Vuoi anticiparci qualcosa?
Sono molto scaramantico, perciò preferisco non parlare di progetti futuri. Vi posso anticipare solo che ci vedremo in Spagna a breve, siccome organizzo il SurfCamp ormai da molti anni.
Sarò a nord della Spagna, più precisamente a Playa del Somo. Il posto è stupendo e organizzo dei pacchetti ad hoc per i clienti dal livello medio a quello avanzato, dove li seguo o li faccio seguire. Potete trovare tutte le informazioni sul sito saultybear.it .
Ho anche un paio di gare in programma che cerco di fare, principalmente per continuare a imparare e trasmettere tutto ai ragazzi che alleno.
Sono convinto che non si smetta mai di imparare, soprattutto nel surf: c’è margine di miglioramento a tutte le età, se solo lo vuoi veramente, sei disponibile ad allenarti tutti i giorni e a dedicarci del tempo.
Un’ultima domanda, la più importante: dicono che ogni surfista provi sensazioni diverse e intensissime quando si trova dentro al barrel. È vero? Vorresti descriverci tu quali sensazioni provi?
Parlare di barrel è un argomento molto delicato perché queste onde sono difficili da incontrare, ma soprattutto quando le incontri devi essere veramente pronto perché fare un tubo è una delle manovre più difficili.
Ad esempio i ragazzini di adesso sono molto più bravi a fare i trick aerei a 360 gradi, fanno qualsiasi cosa, però fare un tubo con la T maiuscola rimane molto difficile.
Anche parlando di gare, fra tutte le manovre è quella che viene considerata più alta per un punteggio.
Quando sei nel tubo ti ritrovi con le orecchie ovattate circondato dall’acqua che in un secondo fa sparire tutto. Spariscono i problemi, sparisce qualsiasi cosa.
Ma lo ripeto, è pericoloso: può essere la manovra migliore del mondo, ma può essere anche un vuoto assurdo perché basta poco che ti ritrovi a dare una facciata a una lastra d’acqua spessa come un muro.
Però in generale è una sensazione liberatoria che a me dà la sensazione di essere nel posto giusto al momento giusto. Un’esperienza da portarsi dentro per sempre.