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Dolore e bellezza nell’arte acquatica di Mira Nedyalkova

L’eros e la natura nelle fotografie dell’artista bulgara: come l’acqua rappresenta il dolore e la bellezza dei corpi

L’acqua ha da sempre nutrito l’animo di molti artisti, catalizzando processi creativi e innescando riflessioni profonde. Si pensi alla pioggia che cade su la solitaria verdura nella poesia ‘La pioggia nel pineto’ di Gabriele D’Annunzio, oppure a ‘The Negro Speaks of Rivers’ del poeta afroamericano Langston Hughes, componimento in cui le profonde acque di fiumi “ancient as the world and older than the flow of human blood in human veins” – letteralmente “antichi come il mondo e più vecchi dello scorrer del sangue umano nelle vene” – tesaurizzano secoli di memorie. Anche le arti figurative offrono un nutrito assortimento di esempi: dalle acque tranquille di ‘Matinée sur la Seine’ di Monet, a quelle torrentizie e distruttive di ‘The Deluge’ del pittore irlandese Francis Danby.

In questa agitata fantasmagoria di suggestioni pittoriche e letterarie, l’elemento dell’acqua assume forme e ruoli differenti a seconda delle modalità di rappresentazione: a volte si sostanzia in violente alluvioni o fiumi traboccanti che fagocitano la vegetazione circostante, assurgendo a una vivida rappresentazione del potere distruttivo della natura; altre volte invece si presenta sotto forma di docili ruscelli o vaste e imperturbate distese d’acqua, evocando un gradevole senso di calma e distensione.  

Mira Nedyalkova.

Nella fotografia di Mira Nedyalkova l’acqua diventa liquido amniotico che rivela, senza interporre alcun filtro, le forme dei corpi e la loro primigenia bellezza. Mira nasce a Sofia nel 1972 e si affaccia al mondo della fotografia nel 2007 dopo un esordio come pittrice e modella, facendo tesoro della sua precedente formazione sviluppata presso l’Accademia d’Arte di Sofia.

Dalla serie fotografica ‘Nectar’, di Mira Nedyalkova.

Come lei stessa sostiene:

“Le mie fotografie non sono esattamente delle fotografie: le mie creazioni sono una via di mezzo tra i dipinti e la fotografia”.

– Mira Nedyalkova

Nella raccolta ‘Nectar’ (2020), l’artista rappresenta la sinuosa figura di una donna che si dimena nell’acqua cercando forse di liberarsi dalle indocili spire di una corda che, come i gemini angues che stritolano impietosamente i corpicini dei figli di Laocoonte, avvinghia le sue membra e il suo busto.

L’accennato rossore delle natiche e il delicato movimento del vestito che lascia scoperte le zone erogene, evocano un erotismo compassato, non motivato da alcun intento pornografo quanto più dalla volontà di rappresentare l’eros “come uno stile di vita psicologico”, come la stessa Nedyalkova afferma. 

Temi e stili di questa raccolta sono presenti anche in altri lavori dell’artista: in ‘Heaven’s Only Wishful’ (2018) troviamo rappresentazioni tematicamente simili, mentre in ‘Genesis’ (2018) – raccolta il cui riferimento alla narrazione veterotestamentaria è esplicitato già dal titolo – la corda è sostituita da un vero serpente, che striscia aggraziatamente lungo il corpo perlaceo della donna.

Dalla serie fotografica ‘Heaven’s Only Wishful’, di Mira Nedyalkova.
Dalla serie fotografica ‘Genesis’, di Mira Nedyalkova.

La perlescenza dei corpi cede il passo a una bellezza livida e sanguigna in raccolte come ‘Not Today'(2018) e ‘Contact’ (2018). Nella prima, una donna dal volto scarsamente espressivo poggia le mani sanguinolente su una parete verosimilmente vitrea, che rende la scena osservabile allo spettatore. La seconda, invece, presenta una serie di ritratti di una donna dal volto gravemente escoriato. Sarebbe certamente difficile lanciarsi in un’analisi esegetica che abbia a oggetto le raccolte succitate, per questo è la stessa Nedyalkova a chiarirne il senso: 

“Nelle mie immagini utilizzo il dolore come bellezza”.

– Mira Nedyalkova
Dalla serie fotografica ‘Not Today’, di Mira Nedyalkova.
Dalla serie fotografica ‘Contact’, di Mira Nedyalkova.

Nonostante rappresentazioni del genere possano sembrare dissonanti all’interno del pur variegato portfolio dell’artista, costituiscono proprio le tappe di un ambizioso e suggestivo processo di conversione del dolore in bellezza.

Il motivo del dolore estetizzato ricorre anche in ‘Silent Hedges’ (2018), sequenza di immagini in cui una donna viene profanata da mani maschili che ne solcano avidamente le carni, le afferrano, le carezzano ora più docilmente e di nuovo in maniera più violenta.

L’intento – visibilmente predatorio – di quest’esplorazione tattile dell’uomo elegantemente vestito, sembra voler rivelare una precisa dinamica di potere: l’assoggettamento al volere maschile di una donna il cui volto, sospeso tra rassegnazione ed estasi, sembra aver accettato pacatamente il dolore. Un dolore silente, come quello del Christus patiens o delle siepi (in inglese “hedges“) a cui il titolo della raccolta fa riferimento.

Dalla serie fotografica ‘Silent Hedges’, di Mira Nedyalkova.

“Credo che per capire la gioventù che ritraggo basti una parola: malinconia. È un sentimento che si riferisce agli attimi trascorsi, alle cose passate, ma anche a quelle cose che si vorrebbero vivere. Il mio lavoro mi ha sempre ossessionato, spesso costringendomi ad allontanarmi da una certa socialità. Voglio quindi ricostruire una gioventù che tenga conto di tutti e due questi versi: così da un lato c’è l’idillio bucolico e dall’altro l’oscurità ottenebrante della mia regione”.

– Mira Nedyalkova

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