Corpo e identità: il cinema di Vittoria Rizzardi Peñalosa
Prima di diventare regista e sceneggiatrice, Vittoria Rizzardi Peñalosa ha intrapreso i percorsi più disparati: è stata trapezista in un circo di provincia, ha praticato equitazione a livello agonistico e infine si è trasferita a Londra per studiare legge.
La sua è una traiettoria professionale vorticosa e diversificata che non poteva avere che il cinema e, più in generale, il raccontare delle storie come approdo ultimo.
In fondo, questo pellegrinaggio tra occupazioni e interessi diversi echeggia la struttura narrativa di uno dei suoi primi lavori, tra i suoi più teneramente acerbi, ma comunque animati da una verve narrativa che in pochi esordienti hanno. Si chiama ‘Fairweather’ e parla di una donna la cui anima si muove di corpo in corpo, transitando per le storie e i punti di vista più diversi.
Ciò che questo cortometraggio comunica tra le righe è una necessità, individuale prima e sociale poi, di empatia.
Come qui, anche nei successivi lavori di Vittoria, la transitorietà identitaria del soggetto sarà uno dei punti fondanti di tutta la sua costruzione filmica. Ad esempio, nell’ultimo ‘Dante’, cortometraggio sperimentale a cavallo tra video-arte e fiction esposto al museo MAXXI di Roma, si indaga la relazione sentimentale tra due anime che, incontratesi nel mondo civile che tutti conosciamo, sprofondando in uno spazio irreale tra mente e sentimento. Una connessione tra due diverse soggettività capace di superare le divisioni fisiche, la pelle, gli schemi sociali, le classi.
È quindi un cinema appena nato ma fermamente efficace nella resa di una visione d’autore – quella di Vittoria Rizzardi Peñalosa – che si discosta da uno sguardo drammaticamente e pessimisticamente comodo, spesso molto diffuso tra chi si affaccia al mestiere creativo. Specularmente, rifiuta un intervento massivo e ammiccante sulla resa visuale, ingombrante e patinata, pur rimanendo tecnicamente virtuosa nel linguaggio e prediligendo un movimento di macchina fluido e ben padrone degli ambienti.
Questa nettezza della sua visione le è stata riconosciuta tramite svariati premi e partecipazioni a importanti festival di cinema in giro per il mondo, tra cui, su tutti, quello di Cannes, dove ha presentato ‘Clarity and Chaos’, declinazione in chiave distopica delle tematiche che permeano la sua filmografia.
Questo cortometraggio paventa una società in cui si è obbligati a vivere segnalando il proprio genere e il proprio orientamento sessuale. Alla definizione, e quindi alla delimitazione identitaria, risponderà il sentimento come unico scorcio di liberazione dell’anima. La soluzione è sempre quella, vecchia come il mondo, e sempre più anacronisticamente rara: essere sé stessi, auto-affermarsi, uscire dai bordi di schemi già imposti, precostituiti.
In questo periodo, Vittoria sta ultimando la lavorazione di ‘Bertie mi ha scritto una poesia’, scritto che racconta di una ragazzina che dopo il suo primo rapporto sessuale si reca dal medico incappando negli incontri più disparati.
Al centro, c’è sempre il corpo come bordo dell’anima, protezione e definizione nel marasma della collettività ma al contempo gabbia e divisione apparente dall’emotività degli altri. Identità, inclusività e collettività sono tematiche che non bastano a definire un’artista, ma quando queste derivano da una resa narrativa convincente e vengono raccontate da uno sguardo solido, curioso e cinematograficamente sapiente come quello di Vittoria Rizzardi Peñalosa, allora, abbiamo da attendere con impazienza una nuova storia, un nuovo sguardo.
Identità, inclusività e collettività sono tematiche che non bastano a definire un’artista, ma quando queste derivano da una resa narrativa convincente e vengono raccontate da uno sguardo solido, curioso e cinematograficamente sapiente come quello di Vittoria Rizzardi Peñalosa