Amore e morte: ‘La Tana’, di Beatrice Baldacci
‘La Tana’, primo lungometraggio di Beatrice Baldacci – classe 1993 – prende le mosse da alcune tematiche già affrontate dal giovane talento in ‘Supereroi senza superpoteri’, cortometraggio vincitore nella sezione Orizzonti di Venezia 2019.
La tana a cui il titolo si riferisce è un posto protetto e intimo ma anche un sottrarsi al mondo, un nascondiglio in cui sparire. Proprio di questa ambivalenza tratta quest’opera così attenta alle paure e le complessità del mondo giovanile.
L’approccio narrativo di Beatrice Baldacci conserva i valori dell’infanzia come fantasmi che popolano gli interni e gli interstizi della storia, rendendo i suoi protagonisti così sinceri, pulsionali e dotati di una timidezza irruenta che li rende decisamente umani, credibili.
Il diciottenne Giulio (Lorenzo Aloi) scorge l’enigmatica Lia, personaggio cardine della pellicola interpretata dall’astro nascente Irene Vetere, senza coglierla mai nella sua totalità. Lia – o meglio “conoscere Lia – è il suo oggetto del desiderio ma anche il suo viaggio dell’eroe, il suo romanzo di formazione.
Lia gioca con la morte: ha desideri di sotterramento, di “una tana” per l’appunto, dove rimandare la vita e conservare l’illusione di un’infanzia perduta. La malattia di un caro sarà l’occasione per indagare quella pulsazione oscillatoria che per tutta la narrazione intercorre tra amore e morte, rendendo comparabile l’opera di Beatrice Baldacci con i temi ricorrenti della filmografia di Francois Ozon (vedi, ad esempio, l’ultimissimo Etè ’85) ma anche alcune venature narrative del primissimo Xavier Dolan.
Pulsione e nichilismo sono i due poli tematici entro cui oscillano questi protagonisti così fragili e impreparati al mondo, seppur così solenni nel custodire un dolore, un trauma nascosto.
La giovanissima autrice di quest’opera è diretta ed efficace nel restituire una sensazione di non-appartenenza rispetto al nostro tempo: un atto di resa verso il mondo attuale e, al contempo, di amore profondo verso un singolo individuo. Come se singolare e collettivo si escludessero vicendevolmente.
Il dato visivo del film gioca con la sovraesposizione dell’ambientazione rupestre – così estiva e ovattante – in contrasto con gli spazi bui della casa e il suo valore di rifugio non scorgibile dall’esterno, ma oscurato nella visione verso ciò che sta fuori dalle persiane, sempre accostate e tagliate da netti filamenti luminosi. È un approccio raffinato e trasparente al linguaggio cinematografico che non prende il sopravvento sulla storia e sull’intimità dei due personaggi principali.
Quello che rimane allo spettatore dopo la visione di questo film così tenero e amaro è la scoperta di una nuova autrice, ma soprattutto la calda sensazione di un costrutto artistico che parla con onestà al suo pubblico più giovane, senza edulcorare l’amore, senza imbellire la scoperta.
Il cantautore Francesco Bianconi, in “Certi Uomini”, canta in un verso: “Perchè io vivo perchè ho voglia di morire”. Ecco, La Tana, tra nido e natura sconfinata, ci parla esattamente di questa sensazione.