‘L’uomo sulla strada’: una storia senza tempo e senza luogo
In conversazione con il regista Gianluca Mangiasciutti che racconta del suo film uscito nelle sale il 7 dicembre e della sua visione del cinema italiano oggi
“Volevamo fare un film che fosse senza tempo e senza luogo”.
– Gianluca Mangiasciutti
E in effetti, ‘L’uomo sulla strada’, esordio alla regia di Gianluca Mangiasciutti, prodotto da Eagle Pictures, in sala dal 7 Dicembre 2022, è sospeso in uno spazio-tempo imprecisato, sospeso e crepuscolare. “Non è un caso se abbiamo scelto di non mostrare i social” mi racconta. L’intenzione era trasmettere l’universalità della storia di Irene e Michele, al di là delle contingenze di un periodo, o di un contesto sociale particolare.
Senza svelare nulla, ‘L’uomo sulla strada’ narra di un trauma e del senso di colpa che ne deriva, dell’incontro tra due individui soli, imprigionati nel passato, interpretati da due attori che oltre ad offrire una prova convincente, spiccano per la sintonia che riescono a trovare sullo schermo.
Aurora Giovinazzo, dopo ‘Freaks Out’, delinea un personaggio docile e scontroso allo stesso tempo, mentre Lorenzo Richelmy (anche lui intervistato in questo numero), offre il profilo misterioso di un uomo dal passato oscuro, con un approccio sottrattivo alla recitazione.
“Sono due outsiders, l’estraneità dal mondo li accomuna”
– Gianluca Mangiasciutti
E proprio questa estraneità porterà i due personaggi a conoscersi, a imparare a fidarsi l’uno dell’altra.
“Uno dei problemi del cinema italiano è proprio la carenza di interpreti, ma mi posso dire davvero soddisfatto dei miei attori: Aurora è una scoperta, la definirei esplosiva, Lorenzo invece è un’ottima riconferma, lui è un attore già navigato”.
– Gianluca Mangiasciutti
Anche quella del regista è una carriera colma di esperienze diverse in parti del mondo molto lontane. La famosa gavetta l’ha fatta tutta: dagli spot ai cortometraggi autofinanziati, dalle esperienze ai Festival al ruolo di assistente alla regia in grandi produzioni internazionali. Poi, l’incontro fortunato con questo soggetto, vincitore del Premio Solinas.
“Sono arrivato al mio primo lungometraggio relativamente tardi. Capita che si facciano esordire troppo presto i giovani autori per poi abbandonarli se deludono. Il punto è che non ti puoi permettere di fare errori quando fai film”.
– Gianluca Mangiasciutti
Il primo cortometraggio di Gianluca, ‘Dove l’acqua con altra acqua si confonde’, è stato candidato ai David di Donatello, al Globo D’Oro e ha vinto diversi premi: “Sono stato molto fortunato, ma non sempre i festival riescono ad individuare il valore di quello che hai fatto”. Trasmette tenacia, convinzione nei propri progetti e fiducia nelle proprie idee:
“Oggi si può davvero girare con tutto ma il punto fondamentale rimane la storia, alla fine è sempre quella che conta realmente”.
– Gianluca Mangiasciutti
Secondo Mangiasciutti, il problema al giorno d’oggi è l’espansione del mercato, l’affollamento di autori e in fondo, di competitor, che disturbano l’approccio creativo, affrettano e gettano in uno stato d’ansia chi ha davvero qualcosa da raccontare.
“Il consiglio ai giovani autori è quello di trovare una scuola. Oggi le scuole più riconosciute riescono, oltre che a insegnarti il mestiere, ad inserirti nella realtà lavorativa. Poi, non è importante se si sbagliano cinque, dieci cortometraggi. Ne bastano uno o due per convincere. L’importante è non avere fretta, dare ascolto all’esigenza che ti arde dentro, alla storia che più vuoi raccontare. Deve essere un’idea che non ti fa dormire la notte. Al di là dei pochi mezzi, è dalla solidità della trama che si vede la validità di un’opera”.
– Gianluca Mangiasciutti
Certo, c’è sempre un periodo propizio, fertile, a seconda di quale storia vuoi raccontare, in fondo, si tratta sempre di mercato:
“Un conto è essere già un autore conosciuto, allora puoi fare quello che vuoi, il traino del film è il tuo stesso nome. Ma quando devi affermarti devi sempre fare attenzione a quante persone parla la tua idea in quel preciso periodo. Certe tematiche attraggono di più e altre di meno a seconda del momento”.
– Gianluca Mangiasciutti
Anche l’immaginario è importante, la grande libreria di immagini che compone l’interiorità di qualunque artista affiora necessariamente nel modo che ha di esprimersi artisticamente. Le istanze che agiscono nell’espressività di Gianluca sono diverse: cita la sensualità che ama nei film di Adrian Lyne, l’approccio scevro dalla logica di genere degli autori nord-europei, l’essenzialità con cui Jacques Audiard racconta i sentimenti:
“Amo un certo tipo di regia invisibile, nella quale la macchina di ripresa è al servizio degli attori, senza ricorrere a tecnicismi o virtuosismi che in qualche modo vanno a coprire il racconto. Uno dei nuovi autori che apprezzo di più è Lukas Dhont (‘Girl’, ‘Close’)”.
– Gianluca Mangiasciutti
In effetti, quando gli chiedo chi tra i registi importanti con i quali ha lavorato gli abbia trasmesso più insegnamenti, la risposta è sorprendente:
“Ho piccoli mentori, ma se dovessi dire un maestro, pur avendo lavorato con grandi registi, non saprei individuarlo. I miei maestri sono i film che ho amato, le storie che sentivo più affini a me”.
– Gianluca Mangiasciutti
Chi calca da anni set in giro per l’Italia e per il mondo, come lui, sa come la creatività e la romantica devozione dell’autore alla sua idea si debbano sempre sposare con il lato produttivo, quello fatto di budget, scadenze e burocrazia: “Nel cinema è importante capire i tempi, perché ogni piccolo ritardo si somma”. In sostanza, vedere che il cinema è poesia ma che è anche un marchingegno piuttosto complesso. Il bello del cineasta è proprio questo, un arrabattarsi tra ideale e terreno, fare da ponte tra il sogno e la realtà che abbiamo a disposizione per metterlo in scena.
Se si prende in considerazione questo thriller emotivo, rimane opportuno parlare proprio di “sogno”. Come i suoi personaggi, ‘L’uomo sulla strada’ stesso è un film-outsider quando si prova a incasellarlo in un genere. Sembra che Irene e Michele si muovano in un mondo sotterraneo, scuro come la vegetazione fitta delle ambientazioni, incalzante come le venature retro wave della colonna sonora, sospeso e ovattante come le scene girate nella piscina in cui Irene si allena.
“Nel nuoto abbiamo trovato un piano ovattato e subacqueo, ribelle alla legge di gravità, al suono per come lo intendiamo quotidianamente”, mi racconta lui che “in acqua, il corpo è in una dimensione primaria, onirica, comunque differente dal normale. Per Irene è il distacco della realtà”.
– Gianluca Mangiasciutti
Quando pensa al cinema italiano oggi, Gianluca individua un problema che rischia di compromettere la qualità dei racconti:
“Oggi si produce troppo e con troppa foga, c’è più attenzione alla quantità che alla qualità”.
– Gianluca Mangiasciutti
L’impressione dopo la nostra conversazione è che Mangiasciutti sia un artista incapace di smettere di porsi domande, restio a limitarsi e accomodarsi su ciò che gli è più congeniale:
“C’è sempre la paura di deludere, o che un film vada male. L’importante per me è girare un film come fosse la prima e insieme l’ultima volta. Se dovessi farne un altro domani saprei già quali aspetti migliorare e su quali corde insistere maggiormente”.
– Gianluca Mangiasciutti
Alzare il tiro, scoprire nuove strade, insomma: mettersi in gioco. Per quale autorialità si è più portati? Quali storie è giusto raccontare con il proprio sguardo e la propria voce? Sono domande che un regista necessariamente si pone nel corso della sua crescita, formazione e vita. Forse il punto, per un artista maturo, è proprio non accovacciarsi mai su una risposta, continuare ad imparare, a sperimentare e a interpellarsi, come la prima volta.