Valentina Bertani: cinematografia documentaria dall’ambito musicale al lungometraggio tra finzione e realtà
La regista mantovana approda al 79 Festival del Cinema di Venezia con la sua opera prima ‘La timidezza delle chiome’
Il percorso artistico di Valentina Bertani, regista e sceneggiatrice mantovana classe 1984, inizia con la musica quando, ancora adolescente, durante le prove per la realizzazione di videoclip insieme alla sua band, capisce che il suo posto doveva passare dal davanti al retro della telecamera. Trasferitasi nella Capitale per completare la sua formazione professionale come regista a Cinecittà, realizza i suoi primi lavori proprio in campo musicale, girando video per svariati artisti tra cui Negramaro, Raphael Gualazzi, Dolcenera, Arisa, Tricarico, The Kolors, Gianluca Grignani, Stadio e Ligabue, per il quale è stata anche autrice del documentario Fox ‘Made in Italy: Luciano Ligabue’.
Successivamente è passata alla progettazione di spot pubblicitari per numerose aziende come Pupa, Buscofen, Muller, e ad oggi vanta la realizzazione di svariate compagne per rinomati nomi della moda, tra cui Valentino, Fay, Gucci, Pitti, Vogue China.
L’ingresso nel settore cinematografico è segnato dalla regia per la seconda unità del film Disney ‘Tini: la nuova Violetta’, mentre nel 2022 esce il suo primo lungometraggio intitolato ‘La timidezza delle chiome’. Attualmente Valentina è alle prese con un secondo film ambientato negli anni Novanta, di cui riprenderà lo stile pop caratteristico di quel decennio.
Tra la naturalezza dei volti umani, la narratività delle pose e l’inquadratura degli ambienti, riesce sempre a coinvolgere lo spettatore in racconti costruiti per immagini che fanno emergere il lato più emotivo di quanto viene rappresentato. Se ciò accade per i videoclip e gli spot pubblicitari, questo tratto emerge in modo ancora più evidente nel lungometraggio ‘La timidezza delle Chiome’.
Presentato alle Giornate degli Autori della settantanovesima edizione del Festival del Cinema di Venezia, l’opera è stata girata nel corso di cinque anni e segue le vite dei giovani Joshua e Benjamin Israel, due gemelli omozigoti di Milano. Dopo averli incrociati per caso lungo i Navigli, la regista comprende dal primo sguardo che loro sarebbero stati i soggetti perfetti per uno dei suoi lavori. Frutto di quell’incontro fortuito è il suo film-documentario, un’opera di genere ibrido in cui le parti recitate si intersecano con quelle reali e dove il confine tra realtà e finzione risulta labile, quasi impercettibile.
Il film segue il passaggio dall’adolescenza all’età adulta dei fratelli, costretti a fare i conti con una realtà in cui è difficile sentirsi accettati, soprattutto per loro, abituati a vivere quasi in simbiosi, conducendo due vite parallele che, ad un certo punto, hanno necessità di percorrere separatamente. Questo è il significato che si cela dietro al titolo del film, che fa riferimento al processo di crescita di due alberi che rimangono intrecciati fino a che non si separano onde evitare di farsi ombra a vicenda.
Gli ostacoli dei due protagonisti sono ancor più complessi per via della loro disabilità intellettiva.
Tanto in campo cinematografico quanto in quello pubblicitario, la rappresentazione delle persone con disabilità ha sempre incontrato molte resistenze dovute ad un pubblico restio ad accoglierle. Questo però può essere educato e sensibilizzato alla fruizione di audiovisivi che offrano una rappresentazione valorizzante della diversità nelle aree genere e identità di genere, orientamento sessuale ed affettivo, etnia, età e generazioni e disabilità. Fortunatamente ciò si sta verificando, in maniera lenta ma persistente, grazie soprattutto a chi, come Valentina, utilizza strumenti quali l’arte, il cinema e i social per mostrare che chi appartiene a gruppi di minoranze è un essere umano come chiunque altro, in tutta la sua semplicità e complessità che ci accomuna.